Giacomo Bosia, 47 anni

«A 21 anni friggevo patatine e servivo hamburger. A 23 anni creai Euroristoro e divenni imprenditore». «Il passaggio da Burghy a Mac fu una grande svolta». «Ho 550 dipendenti, il 90% a tempo indeterminato»

19 Dicembre 2014

Succede solo da McDonald’s. È proprio il caso di dirlo. E se avete un attimo di pazienza capirete perché. Basta leggere l’incredibile storia di Giacomo Bosia, amministratore delegato di Euroristoro. Procediamo con ordine.
La sua storia inizia nel...?
«Nel 1988. Mi assunsero da Burghy con un contratto di 24 ore settimanali come operatore banconiere. Pulivo la sala, friggevo le patatine, cucinavo gli hamburger e servivo in cassa. In due anni diventai direttore di un punto vendita».
E cosa successe a quel punto?
«Venni chiamato dal direttore generale di Burghy che mi convocò a Modena. Mi disse che c’era un ristorante della catena in città che volevano dare in franchising, concetto che a quei tempi non esisteva ancora. Prima di me quattro avevano rifiutato. Fui chiaro fin da subito: risposi che non avevo una lira, però ero pieno di entusiasmo, passione e conoscenza. Dopo una settimana mi riconvocarono dicendomi che credevano in me. Loro avrebbero tenuto la contabilità e il 50 per cento degli utili. Le eventuali perdite sarebbero state coperte da loro. Firmai un baleno, mi trasferii a Modena e nel 1990, a soli 23 anni, creai Euroristoro insieme a un socio di minoranza e assumemmo quattro dipendenti».
Come andò la nuova avventura?
«Aprii un conto corrente e il direttore della banca mi disse che quel ristorante aveva una cattiva fama e che aveva proibito a suo figlio di metterci piede. Tre mesi dopo venne a mangiare insieme a lui. In due anni triplicai il fatturato, portandolo da 700 milioni di vecchie lire a oltre due miliardi. Come feci? La cortesia paga sempre».
E da lì inizia l’ascesa, giusto?
«Direi di sì. Cremonini, proprietario di Burghy, ha deciso di sviluppare il franchising portando ad esempio proprio il successo del mio ristorante. E io nel 1996 ne avevo aperti quattro, due a Modena e due a Milano».
1996 anno di una grande svolta, esatto?
«Già. A marzo di quell’anno McDonald’s comprò Burghy. Fu una trattativa che non trapelò. Qualche settimana prima Cremonini mi aveva fatto firmare per un nuovo ristorante a Cinisello Balsamo. Solo al momento del passaggio capii che era stato un gesto per gratificarmi e ringraziarmi per il lavoro svolto negli anni precedenti. Entrare in una multinazionale di quel livello era una grande svolta. Fui mandato un mese e mezzo in Francia per capire meglio i meccanismi di McDonald’s e a novembre aprii a Cinisello proprio il mio primo Mac. Nel 1997 i miei Burghy passarono sotto il marchio delle due montagnette e dal 1998 al 2009 ne ho aperti altri sette nel nord est Milano».
A quel punto cosa succede?
«Che i vertici di McDonald’s mi chiamano per dirmi che 10 ristoranti erano troppi per un solo responsabile. Non potevo più svilupparmi. A meno che non fossi entrato in società con loro. Ed ecco che ho venduto il 50 per cento di Euroristoro, che nel frattempo era diventata tutta mia, a loro. Un passaggio fondamentale che mi ha permesso nei successivi quattro anni di aprire altri 6 ristoranti, compreso il secondo a Segrate, inaugurato lo scorso martedì».
A 47 anni un imprenditore come lei che altri obiettivi si pone?
«Aprire altri McDonald’s. E poi ho una grande sfida in ballo. Questo ristorante, insieme a quello che ho aperto a Varano Brianza, è il primo a sperimentare il servizio ai tavoli. Si ordina tramite i chioschi, ci si siede e si aspetta che arrivino a servirti. In soli sette giorni abbiamo visto che il cliente gradisce e molto. Togliergli lo stress dei 10 minuti di coda, non sembra, ma è apprezzato».
Quante persone lavorano per lei?
«Ho 550 dipendenti di cui il 90 per cento a tempo indeterminato. Inoltre ho una squadra di ragazzi valida e preparata; gente che è con me da una ventina di anni e parte del mio successo lo devo a loro. È formata da un direttore operativo che ha sotto di lui tre supervisori. Poi c’è una responsabile marketing, un’addetta alle risorse umane, una responsabile della formazione e tre persone che si occupano della parte amministrativa».
Al giorno d’oggi è pensabile entrare a lavorare da McDonal’s e fare la sua stessa carriera?
«Sì, ma con tempi più lunghi. Io ho bruciato le tappe, a 23 anni mi ero già messo in proprio. Ho diversi colleghi che sono riusciti anche loro, ma chiaramente in un numero maggiore di anni».
Come mai la scelta di aprire un secondo McDonald’s a Segrate?
«Perché a Segrate esistono due importanti direttrici di traffico e siamo convinti che non si faranno concorrenza». 
Mi fa l’identikit di chi lavora da voi?
«Su tutto la capacità di porsi al pubblico e sapersi relazionare. Di conseguenza, cortesia ed educazione. E poi saper lavorare in squadra, un concetto da noi molto sentito».
E quello del cliente?
«Entrano davvero tutti da Mac. Siamo aperti 24 ore su 24 e andiamo incontro alle esigenze di tutti». 
Come è cambiata la filosofia del fast food negli anni?
«Ora siamo davanti a ristoranti comodi e accoglienti. Una volta non erano studiati per fare stazionare la gente. Adesso forniamo tablet e giochi interattivi. Possiamo dire che ora è il servizio fast, non il pasto».
Ho notato che anche il menù è cambiato. Non più solo il classico hamburger, ma anche prodotti per il palato italiano.
«Vero. Abbiamo deciso di valorizzare il made in Italy. Ecco che allora troviamo la chianina o la marchigiana, piuttosto che la mozzarella, il parmigiano e lo speck. La qualità si è alzata notevolmente».
Un’ultima domanda: quanto siete chiusi nel protocollo e quanto potete creare?
«Tipologia dei prodotti e servizio sono legati alle scelte di McDonald’s. Abbiamo invece più spazio per quanto riguarda il marketing locale e su singole scelte funzionali. Personalmente, ad esempio, ho voluto installare Sky per trasmettere i telegiornali e le partite di calcio».

Roberto Pegorini